Overblog
Edit page Segui questo blog Administration + Create my blog

Presentazione

  • : Blog di Sara Cespoli
  • : Luogo non luogo per lasciare impressioni, pensieri, emozioni.Per scambiare progetti, opinioni, sogni. Per immaginare quel mondo fantastico che ognuno si porta nel cuore.Talesa è un libro, ma anche un modo come un altro per farmi conoscere non solo come scrittrice, esordiente e ancora non conosciuta, ma anche come persona. Benvenuti a tutti quelli che passeranno di qui!!!
  • Contatti

Cerca...

Archivi

/ / /

 

manuela romanelli donna in controluce 

 

Notti insonni

 

 

Ferano non riusciva a dormire. Sudava, i capelli biondi erano attaccati al viso umido, ma non si accorgeva quasi del fastidio. Si agitava nel suo letto, cercava di non pensare a niente, ma non poteva. Dopotutto, il drago era innocuo, perché indagare sulla sua comparsa se nessuno aveva corso un effettivo pericolo in sua presenza? Perché quel pescatore era venuto da lui a seccarlo? Aveva ben altre cose di cui occuparsi. Per esempio, quella provincia a est, come si chiamava? , dove c’era il focolaio di una rivolta contro le nuove tasse che aveva introdotto…

Sospirò. Dove pensava di andare, non conosceva a fondo neppure le vicende del suo Impero! Tutto era delegato ai consiglieri, ci pensavano loro.

Però, forse Seyda aveva ragione. L’esporsi per la faccenda del drago poteva essere il pretesto per avvicinarsi al suo popolo e riacquistarne la fiducia persa.

Aveva bisogno di un consiglio. E sapeva a chi rivolgersi.

Si alzò dal letto travagliato, si vestì frettolosamente e si diresse verso la piccola cappella che il padre di suo padre si era fatto costruire vicino alla sua stanza, nei sotterranei, per uso personale. Una persona lo stava sicuramente aspettando.

La cappella, ricavata da una caverna sotterranea umida e fredda, era quasi illuminata a giorno da centinaia di candele sparse dappertutto. Ferano amava la luce, come amava l’oro. L’ospite che la abitava l’aveva riempita di candele per fargli piacere, perché di solito l’ambiente era molto buio. Al centro della cappella, c’era un altare: era in pietra scura, ricoperto di un drappo dorato ove poggiava l’effigie immortalata del giovane sovrano in un piccolo busto anch’esso dorato. Di fronte ad essa, bruciava ininterrottamente un filo impalpabile d’incenso.

Dietro l’altare, una figura ammantata di nero, con un nero cappuccio a coprirle il viso, aspettava.

“Mio imperatore, sei qui per un consiglio”, mormorò con voce sinistra.

Ferano non amava rivolgersi a quella persona, ma era l’unica, credeva, che poteva dirgli con sicurezza cosa fare. Davanti a lui, una vecchia, il viso ricoperto da un ghigno disgustoso, stava in piedi, in attesa che il suo padrone proferisse una parola.

“Vecchia strega, hai indovinato come sempre”, rispose. “Hai letto nella tua sfera di cristallo cosa è accaduto oggi, quale visita ho ricevuto?”

La nera figura si spostò da dietro l’altare per avvicinarsi all’uomo. La vecchia si abbassò il cappuccio sulle spalle, mostrando una faccia disgustata. “Solo i ciarlatani usano sfere di cristallo”, la sua voce era risentita, “io uso le ossa dei morti, che non mentono mai. Sì, so quanto tu sai”.

Ferano sorrise. “Vecchia Krana, non ti spazientire. Sai che di te posso dire cosa voglio… Sei in mio potere…”.

Sì, sono in tuo potere perché se non avessi la tua protezione dovrei essere bandita dall’Impero o addirittura uccisa, ma anche tu sei in mio potere e non lo sai.

“Lo so, mio padrone. Sei pronto?”

“Sì, sono pronto”.

La strega si avvicinò ad un baule posto al fianco dell’altare, ne estrasse una piccola borsa di pelle di animale, da dove prese una manciata di polvere marrone. Sputò un grumo di saliva sulla polvere sparsa sul palmo della sua mano e la mischiò; dopodiché la passò a Ferano. “Mangiala tutta, come al solito, e aspetta”, gli comandò.

L’imperatore obbedì. Sempre doveva inghiottire quell’intruglio sconosciuto per poter entrare in contatto con l’aura della strega, affinché essa potesse vedere nel suo futuro. Sempre era diviso fra la curiosità che lo spingeva a chiedere cosa ci fosse in quell’impiastro che la strega gli porgeva, e tra la paura di comprendere cosa ci fosse. La stregoneria era una cosa proibita, ma quella vecchia aveva sempre vissuto con lui, addirittura con suo nonno quando era giovane. Il suo stesso padre si rivolgeva a lei per sondare il futuro e per prendere decisioni. Dopo di tutto, sembrava innocua, non aveva mai fatto del male a lui né al padre; doveva loro la vita, da quando era stata raccolta dalla strada e ospitata nella reggia, o tenuta in gabbia, giacché nessuno doveva sapere della sua presenza. Ma Ferano dettava legge, non era così? Avrebbe deciso un giorno o l’altro di lasciarla andare per un’altra strada che non s’incontrasse con la sua. Ma non sarebbe stato quella notte, adesso le serviva.

E poi… C’era quella storia del giuramento di sangue che complicava le cose: Ferano, come il padre e il nonno, aveva giurato sul suo sangue di non rivelare ad anima viva la presenza della strega. E la leggenda voleva che chi avesse infranto quel giuramento sarebbe morto all’istante. Chi aveva voluto quel patto vincolante? Da chi era partita l’iniziativa, dall’imperatore, o dalla strega?

Non sarebbe stato facile liberarsi della strega, quando lo avesse voluto. E qualcosa dentro di lui gli vietava solamente di pensarlo.

Ma adesso, doveva servirsi di lei, senza pensare alle conseguenze.

 

La polvere fece effetto in pochi istanti: Ferano fu colto da un attacco di asma violenta, si accasciò per terra, poi, gradualmente, si calmò, il respiro stava tornando normale… I suoi occhi si alzarono verso la strega, ma erano vitrei. Krana pose la sua mano artigliata sulla fronte dell’uomo, e pronunciò terribili formule in una lingua misteriosa. Quella sera però la strega era stranamente inquieta, c’era qualcosa nell’aria di strano, di diverso. Si sentiva sull’orlo di cadere nello stato semicosciente di sonno vigile, come accadeva spesso, d’altronde era molto brava a farlo. Ma qualcosa la tratteneva dal lasciarsi completamente andare. Sentiva che se lo avesse fatto sarebbe cambiata per sempre, in maniera irreversibile. L’imperatore era ancora disteso per terra, interamente alla sua mercé, sarebbe stato così semplice fargli del male. Male? Quando mai aveva pensato realmente di fare del male a quel ragazzo? Da dove proveniva quel pensiero troppo nero anche per lei? Era soltanto una semplice strega: proveniva dalla campagna e la sua conoscenza magica era molto elementare; qualche intruglio per guarire, e quel miscuglio che faceva addormentare Ferano in modo da leggere la sua mente…

Poi, improvvisamente, ancor prima che arrivasse lo stato quasi comatoso in cui cadeva ogni volta, sentì una presenza estranea in quell’ambiente. Si guardò intorno per vedere se era entrato qualcuno, ma era impossibile. L’esistenza di quella cappella era nota soltanto a Ferano e a lei, e a quella serva che le portava i pasti e le puliva la prigione dove viveva…

Non sentiva in realtà una presenza fisica. Non fece in tempo a isolare la mente, si sentì posseduta da una cosa mai conosciuta prima. Parole blasfeme sortirono dalle sue labbra…

“Atamar t’imploro, torna in vita e svelami l’arcano”.

Ferano tremava sotto l’imposizione di quella mano fredda e rugosa, e lentamente si alzò da terra.

La strega cominciò a formare strani segni sulla fronte dell’uomo. Poi interruppe il contatto, mentre l’imperatore cadde a peso morto sul pavimento. Krana cominciò a ridere, si scuoteva tutta, le mani brancolavano nell’aria come se cercassero un appiglio invisibile. La luce delle candele si smorzò per un attimo. E come tutto era cominciato, tutto finì.

La strega si calmò, Ferano si risvegliò e si rialzò dal pavimento ove giaceva inerme. La luce delle candele tornò a rivivere.

Ferano intuiva da dietro il cappuccio della strega un ghigno soddisfatto.

“Qual è la risposta al mio dubbio?”, chiese con fare autoritario, ma celando un nuovo dubbio. Sentiva che era accaduto qualcosa di diverso, questa volta.

Krana parlò con una voce che non era la sua, una voce maschile mai sentita, gutturale e sospirante, bassissima.

“Irretiscila. Verrà da te con fiducia e tu la tradirai. Rendila mia, portala a me, falle comprendere il nero potere, e quando essa sarà mia, tu sarai al mio fianco per la battaglia finale. E per me, e con me, vincerai”.

“Chi sei tu, che parli con nere parole?”, domandò Ferano, che non capiva.

“Ho già parlato troppo, quando sarà il momento, le mie parole ti torneranno a memoria e saprai cosa farne”, disse la voce.

Ferano si sentì pervadere da una fortissima sonnolenza. Quasi non riusciva a vedere più davanti a sé.

“Devo riposare”, mormorava, “devo dormire. Ma chi è lei? Chi devo irretire?”

“Quando la vedrai, la riconoscerai. Ho parlato”.

La voce si dileguò dalla realtà o dall’immaginazione, Ferano non lo sapeva più. Ma non ricordava più niente di quello che aveva sentito. Si sforzava ma non riusciva a ricordare.

Krana si avvicinò per sostenerlo, la sonnolenza quasi non gli faceva muovere il passo.

“Devo accompagnarti?”, sussurrò la strega adesso con la sua vera voce.

“No, nessuno sa che sei qui. Non devono vederti, ce la faccio da solo”, gridò quasi Ferano scrollandosela di dosso. Perché le era parsa sempre così viscida e fredda al minimo contatto?

“Dimmi, strega, per opera di chi hai parlato stanotte?”

“Ah, era un’estasi…”, sibilò Krana. “Stanotte non ti ha parlato uno spirito qualunque. Stanotte Atamar mi ha posseduta!”. E rise, rise, rise senza fine. Ormai la follia si era impadronita di lei.

Ferano si risvegliò ad un tratto dal torpore, e fuggì lontano da quella strega delirante.

Non è possibile, Atamar non vive più. Non può essersi risvegliato, in che mani sono caduto?

Non era più sicuro di essere stato saggio nel rivolgersi alla strega. Entrò nella sua stanza, si gettò sul letto e chiuse gli occhi: si addormentò all’istante.

Quando la mattina si svegliò, non ricordava niente di quanto aveva sentito.

 

Erano passati due giorni dalla liberazione del leggendario drago, e il santuario era pervaso da un’eccitazione ancora molto forte. Talesa era rimasta chiusa nella sua celletta per tutto quel tempo, e solo quella sera aveva fatto la sua ricomparsa nella sala di ristoro.

Nella sala di ristoro venivano consumati i due pasti principali della giornata, che erano sempre estremamente frugali. Il pranzo era pronto nella prima ora dopo il mezzo del giorno, mentre la cena era servita poco prima del tramonto. Erano questi gli unici momenti in cui tutti gli ospiti del santuario si ritrovavano insieme per parlare, per rilassarsi, anche per conoscersi.

In genere durante i pasti ci si dimenticava per un po’ dell’ambiente cui si faceva parte: la religione veniva accantonata a favore di lazzi e scherzi fra le accolite e anche fra le persone di rango maggiore, come i Custodi. Riecheggiavano per la sala molte risate… Si dimenticavano le dure lezioni del giorno, si dimenticavano le rivalità fra le allieve più o meno dotate, e si taceva sulle perplessità che riguardavano il futuro più immediato.

Anche durante quella cena sembrava che nessuno pensasse agli avvenimenti più recenti, perché si evitava di parlarne, per paura, o per riserbo. Ma l’assenza di Talesa pesava sugli animi, e ancor di più pesò la sua ricomparsa. All’improvviso, quando lei varcò la soglia della stanza gremita di persone, tutti gli sguardi si posarono sulla ragazza, e Talesa con rammarico si accorse che molti di quegli sguardi mostravano paura. Anche le sue amiche più strette, persino Mara, la guardavano con sospetto. Sapeva di aver rischiato molto con il suo atto istintivo, giù, nella caverna. Impietosita per Balur, non aveva pensato alle conseguenze dell’uso del suo potere, che adesso era noto a tutti.

Si sentiva rimproverata. Avrebbe voluto scappare, nascondersi da tutti quegli sguardi inquisitori; poi scorse il volto sereno di Galwin dal capotavola, che le fece cenno di avvicinarsi a lui.

“Siedi vicino a me, Talesa”, proclamò il maestro, rendendo chiaro a tutti quanto adesso Talesa, nonostante avesse forse compiuto un errore, era importante per la vita del santuario.

Talesa sedette accanto al maestro e si rilassò, come tutti gli altri. Era molto emaciata in viso, si vedeva che aveva sofferto, e in virtù di ciò fu accettata di nuovo di buon grado alla grande tavola.

Dopotutto erano passati due giorni, e niente di grave o pericoloso era ancora successo che potesse giustificare il minimo astio verso la ragazza.

Rimaneva però una certa paura per ciò che lei aveva rivelato: i suoi poteri sembravano davvero enormi, difficilmente controllabili. Mai nessuna Dedicata aveva dimostrato tale forza entro di sé; forse soltanto Floriana, tutti pensavano. O forse neppure lei.

Talesa cominciò lentamente a mangiare. Avrebbe voluto tanto tornare indietro. Da quando era svenuta, laggiù, nella caverna, erano successe tante cose, erano avvenute tante rivelazioni… E adesso la aspettava un lungo viaggio, per la prima volta avrebbe visto il mondo di là della foresta di Querciacaduta, e quel pensiero la spronava, per un’interna curiosità, ad accantonare per un attimo il carico di pensieri che le era piombato addosso, e a gustarsi un seppur minimo attimo di svago. Sorrise dentro di sé, e una luce impercettibile la circondò. La serenità che traspariva da lei distese tutti gli animi dei presenti. E l’ansia del pericolo si allontanò per un po’. Ma non il fluire dei ricordi e degli avvenimenti recenti. Quelli, non li poteva ignorare né fermare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Condividi pagina
Repost0