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  • : Blog di Sara Cespoli
  • : Luogo non luogo per lasciare impressioni, pensieri, emozioni.Per scambiare progetti, opinioni, sogni. Per immaginare quel mondo fantastico che ognuno si porta nel cuore.Talesa è un libro, ma anche un modo come un altro per farmi conoscere non solo come scrittrice, esordiente e ancora non conosciuta, ma anche come persona. Benvenuti a tutti quelli che passeranno di qui!!!
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manuela romanelli natura morta con mandolino

SETA VERDE E CARTE DA GIOCO

 

 

C’è un profondo senso di conforto nelle cose che ritornano. La donna, affacciata alla finestra contemplava le foglie d’autunno che, come ogni anno, ingombravano il marciapiede.

Ne erano passati tanti, di autunni…

Erano quasi le dieci di mattina. Un raggio di sole scaldava il suo viso solcato da rughe sottili.

Innumerevoli.

Faticosamente, si allontanò dalla finestra, e si sedette su una sedia di legno consumato dal tempo, piena di graffi ma lucida in superficie, accarezzata migliaia di volte dal suo corpo stanco.

Il raggio di sole illuminava la sua macchina da cucire, la manovella che ricordava la ruota di una bicicletta abbandonata sul ciglio della strada, il pedale che non riusciva a non collegare al fastidioso cigolio che produceva ogni volta che lo azionava col piede. Accanto, il bancone da lavoro: legno di noce massiccio, solcato dai colpi di forbice non andati a segno, da avvallamenti minuscoli che testimoniavano l’usura causata dai suoi pur esperti movimenti di sarta. Appoggiato alla parete, un manichino che languiva, fra polvere e macchie di caffè, nudo, che anelava un modello a coprirlo.

La donna prese in mano un gessetto, le punte delle dita imbiancate dalla sua sfarinatura. Righe dritte e sicure delinearono sulla stoffa il suo prossimo progetto, una camicetta in seta, commissionata da nessuno, se non dalla voglia di rimanere in attività, fra i tremiti e i vuoti che l’assalivano sempre più spesso.

Il bancone, così pesante da non poterlo muovere se non smontandolo, nascondeva un ordine di cassettine dove sfilavano, ben in vista, le rocchette di filo colorate, disposte per tonalità, dalla più chiara alla più scura, il cuscinetto puntaspilli, la sua collezione di ditali, alcuni regalati dalle clienti più assidue.

E poi, un mazzo di carte da gioco.

Un impulso irrefrenabile la spinse a mettere da parte la stoffa e afferrare le carte. Una rimescolata veloce, e con l’automatismo delle vecchie abitudini, dopo qualche secondo erano disposte secondo lo schema del suo solitario preferito. Un’altra cosa che, ciclicamente, ritornava, ma non riusciva a ricordare chi gliel’avesse insegnata.

Il fruscio delle carte era l’unico rumore che scandiva il tempo. Il vecchio orologio da muro era silenzioso da un pezzo. Orologio al quarzo, lo chiamavano.

Finiva sempre con successo i suoi solitari. E non riusciva a non ricominciarne sempre uno nuovo. La luce del sole intanto si spostava, delineando l’affollamento di oggetti che ingombravano il banco. Prima, la lampada da tavolo spenta, pur nella penombra del laboratorio, tanto grande da non riuscire a prendere abbastanza luce dall’unica finestra. Dopo, il metro di legno, ricordi di bacchettate, anche se lievi, e di rimbrotti subiti. Poi, le pesanti forbici di ferro, a volte sostituite da quelle in plastica, più leggere per le sue mani tremanti. Infine, quel pezzo di stoffa verde brillante, la seta più impalpabile.

Ci volevano un ago e un filo molto sottili per cucirlo, e sarebbero servite di nuovo le dita, non la macchina da cucire.

Qualcosa dentro di lei la spinse a lasciare le carte abbandonate in un angolo, vicino alla lampada, il solitario lasciato a mezzo, che sembrava reclamare la giusta conclusione. Un ricordo, fragile come le foglie d’autunno calpestate da passi disattenti, la riportò al suo lavoro. Doveva finire la camicetta entro la settimana, Ada era una cliente molto esigente.

Un dubbio sottile: era per Ada la camicetta?

Sospirò, cominciando l’imbastitura sulle tracce sbiadite di gesso.

Una vertigine la assalì, carte o seta, seta o carte, cosa doveva fare?

Che giorno era? Sul calendario appeso alla parete cerchietti rossi segnavano il passare dei giorni. Doveva essere il dieci di novembre. L’ultimo cerchietto era coronato dal disegno tremolante e infantile di una torta di compleanno con sei candeline. Al suo interno, un nome sospeso, Paola. Il compleanno di qualcuno?

Sei candeline. Non ricordava.

Le mani ripresero a tremare, non poteva continuare. Si fermò, frastornata, le mani sospese davanti a sé. Da quando aveva quelle rughe? E quelle vene bluastre, scolpite inclementi sulla pelle trasparente…

Il suo laboratorio di sarta. Parlava della sua vita, all’improvviso, a tradimento parlava della sua vecchiezza, strano perché a volte si sentiva talmente giovane. Ma adesso, ricordava.

Ada, la sua cliente, era morta da un anno. Lei non lavorava più e la camicetta di seta verde non era altro che un passatempo.

Mezzogiorno. Il silenzio fu rotto dallo scampanio della chiesa in fondo alla strada, e, come se le campane avessero risvegliato il mondo intorno a lei, un trambusto gioioso si riversò dal corridoio. La pesante porta di legno chiaro si spalancò, una manina graziosa appoggiata alla maniglia di ottone.

‘Nonna!’

Nonna? Un tuffo della memoria, quella buona, adesso. Quella reale.

‘Paola, la mia nipotina preferita!’

Riccioli neri, occhi verdi, guanciotte paffute.

‘Nonna nonna! Si mangia!’

‘Ah… Non ho fame tesoro mio, vieni un attimo in braccio!’

La bimbetta non se lo fece ripetere due volte, e si arrampicò sul grembo dell’amata nonna. Respirava la sua colonia, l’odore della vestaglia inamidata, la lacca nei capelli.

Si godevano quel momento prezioso insieme, sapevano entrambe che non sarebbe durato.

Un movimento brusco della bambina, e le carte caddero a terra ticchettando stizzite, reclamando di nuovo attenzione.

‘Oh no, le mie carte!’ esclamò la donna, con un velo di tristezza.

Poi guardò la bambina sulle sue ginocchia, e la scostò leggermente.

‘E tu, chi sei?’

La domanda rimase sospesa nell’aria, il tono della voce leggero come il pulviscolo intrappolato nel raggio di sole. La memoria scivolò di nuovo via mentre il suo sguardo, non più spaurito, ma quasi assente, si rifugiava sul taglio di stoffa che doveva ancora cucire.

Paola si allontanò tristemente.

Era tornata la memoria cattiva.

La nonna non avrebbe festeggiato con lei il suo sesto compleanno.

Chiuse la porta del laboratorio, lasciando la sarta al suo lavoro.

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