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  • : Blog di Sara Cespoli
  • : Luogo non luogo per lasciare impressioni, pensieri, emozioni.Per scambiare progetti, opinioni, sogni. Per immaginare quel mondo fantastico che ognuno si porta nel cuore.Talesa è un libro, ma anche un modo come un altro per farmi conoscere non solo come scrittrice, esordiente e ancora non conosciuta, ma anche come persona. Benvenuti a tutti quelli che passeranno di qui!!!
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manuela romanelli mercatino dei fiori

 

 

SHOPPING A FIRENZE

 

 

Era scoppiata la primavera.

Scesi dal treno con la sensazione di essere rinata, al pari della nuova stagione. Il vento mi scompigliava i capelli, che avevo, caparbia come sempre, lasciato sciolti. Non li legavo mai. In fondo, amavo il tocco delle dita del vento che mi entravano nella testa. Mi guardai attorno, e i ricordi mi assalirono a tradimento. Mi sorpresi a domandarmi da quanto tempo non tornavo a Firenze. Troppo, per essere la mia città natale. Troppo poco per essere pronta a rivederla. Unica colpa, l’avermi conosciuta molto più giovane di quanto sia adesso. Se poi è una colpa.

Scrollai la testa. Non avevo voglia di nostalgia. Se Firenze ricordava un’altra parte della mia vita, potevo comunque ignorarla.

Dopotutto, ero tornata per un pomeriggio di shopping.

Mentre uscivo dalla stazione, pensavo all’itinerario che mi ero proposta di fare. Nella mia testa sfilavano i nomi delle vie, mai precisamente conosciuti perché le attraversavo d’istinto. Nomi vuoti che di significato, se non per i negozi che vi potevo trovare. Dunque, via Cerretani per la Feltrinelli, il Duomo per Lush, poi cos’altro? Ah, se mi avanza un po’ di tempo, il mercatino di San Lorenzo. Le bancarelle mi attiravano sempre, anche se mi rendevo conto di aver pochi soldi in tasca, le mie mani prudevano.

Comprai l’ultimo libro di Camilleri, mi riempii di almeno mezzo chilo di saponi profumati, potevo lasciare la scia di profumo dietro di me, segnare il territorio con effluvi sensuali.

Spensierata, sola, per scelta, percorrevo le strade del centro con falsa sicurezza. A volte mi fermavo ad un bivio, perché non ricordavo bene la direzione da prendere. Poi ripartivo. instancabile come sempre, potevo camminare per ore senza accorgermene. A volte gli altri non mi stavano dietro. Per questo preferivo a volte camminare da sola.

 Mi ravviai i capelli in un gesto non troppo automatico in verità. Mi sentivo sexy quando facevo così, ma quella volta la mano si fermò a mezz’aria. Senza accorgermene, ero arrivata davanti alle Cappelle Medicee. Piena San Lorenzo. Davanti alla corsetteria dove avevo acquistato i miei primi wonderbra. Quanti anni prima? Quindici, venti? Contava davvero, quanti? Un anno soltanto mi avrebbe colpito allo stesso modo.

I ricordi, o meglio, i loro fantasmi, da tempo rimossi, mi si affollarono nel cuore. Senza davvero volerlo, mi muovevo dentro la mia stessa memoria, annaspando come in un fiume melmoso.

Era pericoloso, lo sapevo.

Perché sapevo molto bene che nuotando in quel fiume impetuoso, avrei incontrato un’altra me stessa.

Me da giovane, giovanissima, in pieno fervore giovanile. Quando ero studentessa, quando niente contava nella vita se non l’esame del mese dopo. Quando gli amori volavano leggeri senza preoccupazioni e con poche responsabilità. E chi le voleva, all’epoca?

All’epoca pensavo che con il solo gesto di una mano potevo comandare il mondo!

Camminavo per quelle stesse vie, adesso, invecchiata, forse più bella, dentro e fuori, ma quanto avevo perduto? Quanto avrei osato dare per poter tornare indietro?

E volevo tornare indietro?

Si, maledizione!

Si, avrei voluto.

Maledissi quella città, che mi riempiva di rimpianti. Perché non era cambiata di una virgola. Le persone erano cambiate, non le cose. Mi accorsi di essere rimasta impalata nel mezzo delle bancarelle. I soliti souvenir, le solite voci inconsistenti. Intorno a me, una folla di turisti, le scolaresche …

Ma le cose … mi inghiottivano con la loro imperturbabilità.

E allora, partii.

Mi misi quasi a correre, per raggiungere un luogo della memoria che mi era apparso all’improvviso, che mi feriva, ma che mi attraeva. Quella certa strada, più tranquilla perché non frequentata come le altre. I sacchetti degli acquisti sbatacchiavano fra le mie mani. Rischiavo di farle cadere. Non mi importava. Al diavolo lo shopping!

Mi era venuta in mente una cosa: una panchina di ferro …

Eccola! La potevo distinguere già. Per fortuna non c’era seduto nessuno.

Cercai freneticamente. Quella cosa. Non ricordavo il punto preciso, in cui l’avevo fatta, e quando la vidi mi prese in contropiede. Cavolo, c’era ancora, dopo quindici anni! Un’iscrizione insignificante, di una me stessa più giovane. nulla di che. Anche quel giorno ero sola. Una data, dietro una gamba della panchina, nascosta alle intemperie, perché non la rovinassero. Così ingenuamente avevo pensato allora. Non così ingenuamente, poi, se ci era rimasta.

15-05-1993.

Quella data non mi ricordava nulla, se non il fatto di essere passata di là.

Era la mia scrittura, non potevo sbagliarmi. E mi ricordò un sogno, ad occhi aperti. Di poter essere, fra quindici anni, tale e quale come sono adesso. Felice con un amore, una casa, magari un figlio.

Viva.

E soprattutto, sempre me stessa. Il sogno di non dover cambiare mai, come invece pensavo potessero cambiare le cose. Allora lo pensavo. Ma adesso la prospettiva è cambiata.

Sfiorai delicatamente l’incisione, con il timore reverenziale di rovinarla, laddove non c’erano riusciti acqua e sole per quindici anni. Ero di nuovo lì. Ero cresciuta, come volevo. Orgogliosa di me, a quindici come a trenta e più anni. Soffocando una lacrima di commozione, mi ripromisi di mantenere di nuovo la parola con me stessa.

Di essere sempre coerente. Di ritrovarmi sempre come volevo davvero essere.

E di essere felice soltanto per questo.

È stato il pomeriggio di shopping più bello della mia vita.

 

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