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  • : Blog di Sara Cespoli
  • : Luogo non luogo per lasciare impressioni, pensieri, emozioni.Per scambiare progetti, opinioni, sogni. Per immaginare quel mondo fantastico che ognuno si porta nel cuore.Talesa è un libro, ma anche un modo come un altro per farmi conoscere non solo come scrittrice, esordiente e ancora non conosciuta, ma anche come persona. Benvenuti a tutti quelli che passeranno di qui!!!
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TALESA E CIONDOLO

 

Prologo

L’inseguimento

 

 

Silenzio.

La foresta era immersa in un’oscurità palpabile: nessun animale, nessuna creatura vivente tradiva la sua presenza. Ogni rumore era come sospeso in un attimo di eternità, quasi fosse in attesa di un evento terribile.

Una nebbia malefica volgeva le sue lugubri spire attorno ai tronchi e alle radici degli alberi secolari. Nessun sentiero, quella notte, doveva essere visibile, nessun sentiero doveva condurre alla salvezza. D’un tratto, l’inconfondibile suono dei rami secchi calpestati da passi veloci e disperati, ruppe il mutismo dell’aria: insieme con essi, respiri rotti dal pianto, gemiti appena trattenuti. Molte voci diverse, all’inizio: voci di donne senza speranza, che conoscevano la loro fine. Il futuro era ormai un mondo nero senza via d’uscita.

Lampi nell’aria, fruscii insistenti come di prede ghermite dal cacciatore. La morte arrivò così, per loro: non poterono vedere in faccia il loro aggressore perché egli era Atamar, dio corrotto dal male e ammantato di oscurità e violenza.

Un pensiero.

Eppure un’inquietudine graffiante muoveva i passi del nemico: per quante ne potesse uccidere, una donna continuava a sfuggirgli sempre. Un pungolo, nel suo animo nero, lo spingeva a cercare, nel folto di quella foresta che nemmeno i suoi Demoni avevano animo di attraversare.

 

Inghiottiva le lacrime a fatica, conscia delle perdite di anime che la circondavano. Correva senza fiato, senza più sentire i suoi arti sfiniti, ma sorretta da una parvenza di speranza che cresceva dal suo cuore. Il suo futuro non era nero: sapeva, vedeva che si sarebbe salvata, pur non sapendo come, e questo la spingeva a resistere nonostante sentisse nelle orecchie le grida disperate delle donne che morivano accanto a lei. D’un tratto, non ci furono più grida da sentire: era rimasta sola.

Ansimava, il rombo del sangue che scorreva nelle vene era l’unico suono che adesso percepiva e su cui si concentrava. Sentiva che il nemico era vicino; la nebbia per un attimo si dissolse mostrandole una radura nel bosco, al cui centro una quercia enorme la attirava a sé, un alone soffuso e luminoso che la avvolgeva. Non fece in tempo a raggiungerla: qualcosa la afferrò violentemente alla vita e la scaraventò ai piedi della quercia stessa, facendole sbattere fortemente la schiena e togliendole il fiato. La ragazza serrò gli occhi per il panico che la travolse: le mancava il coraggio di guardare lo sguardo della morte.

Ma dentro di lei, la speranza che non l’aveva mai abbandonata, le parlò con una voce calda e profonda, che infondeva coraggio e serenità, nonostante il momento tragico.

Apri gli occhi, essi ti salveranno.

Non sapeva da dove arrivasse poi quella scintilla calda e inebriante che generò il suo coraggio, ma infine la donna aprì gli occhi, lentamente: uno celeste, per dominare la paura, uno verde, per incutere il terrore. Davanti a lei, un essere mostruoso fatto di fuoco e tenebre, occhi bianchi come latte, opachi e terribili, zanne affilate che uscivano dal ghigno feroce, due ali enormi che lo avevano aiutato a piombare silenzioso sulle sue vittime. Atamar, terribile nella sua forza corrotta, la osservava, quasi perplesso, testimone di una nuova forza che lo contrastava e che non aveva previsto. La donna si alzò, con movimenti lievi ma sicuri, fissando il suo sguardo inquietante sui due occhi bianchi privi di anima, la sua figura splendente e luminosa come pochi attimi prima le era apparsa la quercia. Il sangue le bruciava le vene, il respiro mozzato non le permetteva di proferire parola.

Atamar, quasi ipnotizzato da quello sguardo profondo e senza paura, per la prima volta in quella notte di morte e disperazione, parlò: “Dimmi il tuo nome, femmina! Che lo possa conoscere prima di toglierti la vita!”. Il suono squarciò il silenzio, come un tuono a lungo trattenuto.

La ragazza rispose, trovando in sé una sicurezza sconosciuta, e con voce altrettanto terribile:

“Il mio nome è Floriana, la tua volontà non riuscirà a uccidermi, non ancora. Porto nel mio corpo sangue di drago, che resiste a ogni fiamma. Uvar mi ha generato, un drago mi ha allevata… Così Uvar aveva predetto che ti avrei sconfitto: trafiggendoti con il mio sguardo!”.

L’aria crepitò, come testimone del fuoco che arroventava gli occhi di Floriana.

Atamar, scosso dalla rivelazione uscita dalle labbra di quella fragile ragazza, reagì tentando di scagliare la più grande maledizione mai creata prima. Un fulmine saettò da un gesto repentino delle sue braccia infuocate, ma gli occhi bicolori lo accecarono, distruggendo la sua volontà, e il fulmine colpì violentemente la quercia alle spalle di Floriana. La quercia si separò di netto con un violento schianto in due parti, e nell’attimo in cui si divise, una fonte di limpida e gelida acqua sgorgò dalle sue radici. Atamar, furente, non aveva più la vista, e, costretto ad arrendersi, si voltò alla cieca e spiccò un volo stentato, non prima di lanciare un’altra maledizione, una maledizione pronunciata con voce ancora roboante:

“Non è la fine. Un giorno ritornerò e riverserò sul tuo spirito reincarnato tutta la mia furia!”.

Ancora l’eco delle sue parole non si era dissolto nell’aria, che il dio sparì.

Dove prima egli si stagliava, adesso solo nebbia e, di nuovo il silenzio.

Floriana si accasciò a terra, stremata ma ancora viva. Mortale. Aveva perso l’immortalità. Sentiva il futuro volgere a una fine per lei, come non lo era in precedenza, ma era una fine molto remota, ancora. La minaccia del dio si sarebbe avverata, e lei doveva preparare una sua discendente all’incontro fatale. Il mondo non sarebbe stato in salvo per sempre: ancora pericoli dovevano arrivare. Ma adesso, mentre scendeva la calma, e la nebbia si dissolveva, Floriana si rese conto di quanto aveva perduto: non avrebbe più condiviso la sua vita con donne come lei, capaci di prevedere il futuro, pupille di Uvar, che pure le aveva abbandonate.

Due occhi di brace le si avvicinarono nel buio, scaglie dorate scintillanti che baluginavano e frusciavano intorno a lei, un respiro di fuoco che la avvolse e la protesse dal gelo che le attanagliava l’anima. “Balur, sei tornato…”, gemette Floriana. E quasi timorosa di farsi sentire dalle presenze della foresta che piano piano si stavano risvegliando dopo lo scampato pericolo, pianse calde lacrime.

La notte si fece sempre più buia: ai piedi di una quercia squarciata, una donna in preda al dolore, lunghi capelli che la riparavano dallo sguardo indiscreto del tempo che sempre scorre, e un drago atavico, bellissimo e imponente, che vigilava su di lei.

Silenzio.

In sottofondo, soltanto il gorgogliare di una nuova fonte di limpida acqua, testimone della nascita di una nuova era del mondo di Verdena.

 

 

 

 

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