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Presentazione

  • : Blog di Sara Cespoli
  • : Luogo non luogo per lasciare impressioni, pensieri, emozioni.Per scambiare progetti, opinioni, sogni. Per immaginare quel mondo fantastico che ognuno si porta nel cuore.Talesa è un libro, ma anche un modo come un altro per farmi conoscere non solo come scrittrice, esordiente e ancora non conosciuta, ma anche come persona. Benvenuti a tutti quelli che passeranno di qui!!!
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TALESAUn ciondolo di pietra nera

 

 

Quando iniziò il loro viaggio verso la reggia imperiale, era un mattino sereno e fresco. Viaggiavano leggeri, le provviste che avevano deciso di portare con loro erano limitate, perché potevano nutrirsi dei frutti della terra e di bacche: si dirigevano a sud, le strade erano sicure, il cammino agevole e il sole splendeva ad allietare la loro fatica. La stagione era loro propizia: si era allo sbocciare della primavera, un mantello leggero era più che sufficiente per i rigori del clima serale.

Talesa appariva molto eccitata: tutto per lei, una volta che i loro passi li avevano portati fuori dalla foresta di Querciacaduta, era nuovo e incantevole. Ogni campo coltivato, ogni agglomerato di case, gli alberi, le stesse strade polverose avevano per lei un fascino indicibile. Galwin le camminava a fianco e spesso rimaneva indietro, il passo della ragazza era lieve e rapido. Passavano inosservati agli occhi delle persone che incontravano, perché avevano scelto di vestire anonimamente. Talesa aveva abbandonato la sua veste candida e aveva indossato un abito marrone di cotone grezzo, lungo e piuttosto ampio, che nascondeva le snelle linee del suo corpo. Galwin aveva nascosto il suo abito inconfondibilmente grigio, ed evidentemente druidico, con un mantello scuro dotato di cappuccio. Un robusto bastone ricavato dal legno di una quercia lo sosteneva nel cammino.

I due parlavano poco, Talesa persa nelle sue entusiastiche esplorazioni del paesaggio, e il maestro meditabondo e concentrato in pensieri purtroppo bui, che cercava di nascondere.

Mara non c’era e la sua assenza, se non sembrava importare per niente a Talesa, era molto pesante per il maestro.

Quella mattina l’ancella personale di Mara era giunta all’appartamento di Galwin per annunciare che l’educatrice rinunciava all’onore di accompagnare i viaggiatori perché non stava bene. Il maestro pensava che fosse una scusa per non dover affrontare il disagio di confrontarsi per tre giorni interi, questa la durata prevista del viaggio, con Talesa. Decise di raggiungere Mara nelle sue stanze, ma l’ingresso all’ala dove l’educatrice alloggiava gli venne negato. Neppure la sua autorità di maestro poteva nulla contro il rifiuto di Mara di vederlo. E Galwin non seppe mai il vero motivo per cui Mara aveva deciso di non lasciare il santuario.

 

 

La sera precedente la partenza, Mara stava attendendo la visita di Talesa nella sua stanza. Una luce soffusa e tremolante di candele sparse quasi ovunque illuminava un ambiente non molto grande, composto di un letto al centro della parete di fronte alla porta, una scrivania di faggio allineata a una delle due pareti laterali, ove si affacciava una finestra adesso schermata da tendaggi scuri, e un lavabo di porcellana all’altro lato. Pergamene e calamai ingombravano la superficie della scrivania, insieme a boccettine di vetro piene di strani liquidi. Mazzetti di erbe aromatiche e medicinali attaccati un po’ ovunque lungo le pareti del piccolo ambiente tradivano la specializzazione della donna che vi viveva.

Mara si stava fissando allo specchio: aveva lineamenti segnati dall’età, ma che conservavano sempre dei guizzi di gioventù. Occhi verdi penetranti si scrutavano e giudicavano: la massa di capelli ricci color del rame contornavano un viso di forma regolare, bocca carnosa, naso leggermente aquilino. Una mano carezzava le palpebre segnate dalla stanchezza e dalla preoccupazione. Aveva dormito poco, negli ultimi giorni, e il fatto di non avere vicina Talesa come era solita fare prima, …prima che tutto avvenisse così in fretta…, l’aveva destabilizzata pure nei suoi compiti più elementari. Teneva le lezioni in maniera svagata, prestando poca attenzione a ciò che diceva alle sue allieve, come se l’assenza della sua allieva migliore invalidasse il valore intrinseco del suo insegnamento alle altre.

Talesa era stava sua allieva per molti anni, fin dalla prima adolescenza, ed era stata sempre l’alunna con la mente più brillante e perspicace che avesse mai avuto. A Mara ispirava l’affetto, la tenerezza e l’amore che avrebbe riversato su una figlia: era, in un certo senso, la figlia che aveva sempre desiderato, e che non avrebbe mai avuto ormai. La dedizione al santuario le avevano precluso fin dall’inizio la possibilità di avere una vita normale: non la rimpiangeva, dopotutto considerava le sue alunne, dalla prima all’ultima, e indipendentemente dalla preferenza che poteva nutrire per qualcuna di esse, delle figlie acquisite, a lei molto care. Ma Talesa…

Talesa negli anni le aveva superate tutte.

Sospirò profondamente: le piaceva cosa vedeva davanti a sé, dopotutto. Avrebbe potuto riacquistare la fermezza di carattere e la sicurezza che avevano contraddistinto la sua vita.

Quando sentì bussare lievemente alla porta, sobbalzò: il vortice di pensieri che l’avevano attraversata come un torrente la lasciò all’improvviso, e un groppo allo stomaco la colpì quasi a tradimento.

La Dedicata… La Dedicata è qui.  No, Talesa è qui, soltanto lei.

La donna si alzò dallo sgabello su cui si era seduta e andò lentamente ad aprire la porta.

Talesa era di fronte a lei, le mani che si attorcigliavano come serpenti tra di loro, a tradire il profondo nervosismo che provava.

La prima a parlare fu Mara, a rompere la tensione che da giorni non si alleggeriva.

“Benvenuta, Talesa, nella mia stanza… E soprattutto ben tornata tra noi”. Le parole, nonostante il controllo che v’infondeva, uscivano esitanti dalla sua bocca.

Talesa la guardò a lungo fissa negli occhi, senza proferire parola. Poi sciolse le mani dal groviglio in cui le teneva, e strinse a sé con tenerezza le mani della sua educatrice.

“Mara, dopo tanto tempo sole…”. E scoppiò a piangere come una bambina, travolta da un’emozione imprevista.

Mara la attirò a sé e la baciò teneramente sui capelli.

E’ sempre la mia bambina, alla fine di tutto, e sempre con le sue paure…

Talesa era splendida nella sua tunica candida come neve fresca: una nuova luce irradiava dalla sua persona, sembrava quasi più alta di statura, e tutto da lei emanava una forza straordinaria, nonostante il pianto che l’aveva travolta. Non c’era ostilità nel suo sguardo o nelle parole che taceva, non poteva esserci.

“Non piangere, calmati e siediti sul letto. Ti preparo una tisana di melissa, nel frattempo che ti tranquillizzi…”.

Talesa si asciugò le lacrime con il dorso della mano e inspirò rumorosamente dal naso, come se quello la rendesse più forte. Si sedette sul bordo del letto e aspettò pazientemente che Mara le si sedesse accanto, porgendole una tazza di tisana fumante.

Talesa non era arrivata dalla sua educatrice per farle del male, questo era più che chiaro. Non avrebbe potuto in alcun caso, visto l’affetto che le legava. Voleva solo, anzi Floriana voleva solo, riuscire a dissuaderla dal partecipare al viaggio verso Alba, nonostante l’avesse vista illuminarsi come una ragazzina, al pensiero di poter vedere la reggia. La sua coscienza le diceva che Mara doveva restare al santuario. E quella sera avrebbe dovuto in qualche modo spiegarglielo.

“Allora”, riprese la parola Mara, quando vide che la ragazza aveva finito di bere il suo infuso, “sei pronta per il viaggio?”

Talesa annuì, poi posò la tazza vuota sul comodino al fianco del letto, riversandovi una tale concentrazione, come se quel semplice gesto potesse rinfrancarla più di qualsiasi altra cosa.

“Volevo giusto parlarti di questo e altre cose, Mara”, disse senza fiato.

“La decisione di Galwin di portarti con noi è stata una sorpresa per entrambe, e in teoria non dovremmo discutere una decisione già presa dal maestro. Però, vedi… Non mi sembra una decisione saggia”.

La sua voce fluiva come sabbia fra le dita.

 Devo parlare senza che i miei sentimenti per lei interferiscano con i miei pensieri… Oh Floriana, almeno mi dicessi qualcosa tu!

Mara ascoltava attentamente. Era divisa fra l’eccitazione del viaggio e il rammarico di vedersi impedita tale occasione.

“Penso che dovresti rimanere qui, il tuo posto è nel santuario”.

Cadde uno strano silenzio tra le donne. La notte, seppur sempre giovane, già incombeva su di loro, portandole a neri pensieri. Quando Mara riprese la parola, il silenzio cadde con lo stridio di un vetro andato in frantumi.

“Vorrei tanto essere al tuo fianco in questa impresa… Abbiamo sempre condiviso tutto fino ad adesso, Talesa… Posso sapere perché ritieni che debba restare qui?”

“Qual è il motivo per cui vorresti essermi vicina?”, la interruppe Talesa.

“Penso sia normale. Ti troverai di fronte all’imperatore, un onore che da ere ormai nessuno ha mai condiviso… Potresti aver bisogno di aiuto, potrei esserti di sostegno…”.

Talesa la interruppe di nuovo, con tranquillità.

“Io saprò in ogni attimo come comportarmi. Floriana mi guiderà, non ho bisogno di altri che di lei”.

Mara la guardò interdetta: “Puoi metterti in contatto con lei?”

“Tutte le volte che voglio, nella mia coscienza”, rispose sorridendo la ragazza. Sapeva di ferire l’animo della donna.

“Come ci riesci?”, adesso in Mara prevaleva la curiosità.

“E’ la cosa più naturale per me. Si è piantata come una spina nel fianco dentro la mia testa…”. Rise argentina, per sdrammatizzare l’importanza del momento. Poi le venne un’idea.  “Vorresti parlarle?”, chiese, maliziosa.

Mara strabuzzò gli occhi: era divisa fra il desiderio di poter vedere la sua dea, e la paura dei nuovi poteri di Talesa… Se pensava a come aveva allargato la fenditura nella roccia… Le venivano i brividi.

“Io non so se…”.

“Se è opportuno?”. Talesa le prese la mano e la pose sul suo grembo. “Potrebbe essere l’ultimo dono che ti faccio”. C’era profonda tristezza nel tono della sua voce.

La Dedicata chiuse gli occhi, l’attimo si fece eterno, i contorni del suo viso sembrarono perdere sostanza, e tutta la sua figura si trasfigurò, si fece semitrasparente, ad accogliere altri lineamenti… L’unica cosa che rimase fissa furono gli occhi, il verde e il blu che baluginavano nell’ombra. Mara era esterrefatta, la mano le tremava quando si avvicinò a sfiorare il viso che aveva davanti…

“Floriana… Non è possibile. Non sono mai riuscita a vederla così neanche in trance… Neanche nella prova di iniziazione…”. Le lacrime le traboccarono dagli occhi. Mara era visibilmente scossa e Talesa scorse amarezza nell’ammissione che aveva appena fatto.

“Non mi avevi mai vista?”, adesso era la voce di Floriana a parlare. “Ma ero io che non volevo farmi vedere. Io ero destinata a Talesa, come lei lo era a me…”.

Mara guardava la ragazza . “Tu lo sapevi? Sapevi di questa mia mancanza?”.

“Non è soltanto una tua mancanza, è una mancanza comune a tutte le donne di questo santuario, non devi fartene certo tu una colpa”.

Talesa parlava con estrema calma, e Mara rabbrividì. Era vero, era tutto vero!

Era la triste verità. Floriana non aveva mai raggiunto la mente di alcuna Dedicata, durante quei quattrocento anni dall’evento della sua morte, se non attraverso fugaci visioni senza consistenza. Ma per la sopravvivenza del santuario, in vista di un suo ritorno futuro e in vista della profezia secondo cui una sua discendente sarebbe nata, si era fatto credere il contrario. Agli occhi della gente il santuario doveva apparire magico e in diretto contatto con la divinità per mantenere autorità religiosa nel tempo, ma questa bugia purtroppo non era riuscita a mantenere sentimenti di lealtà nei confronti della religione naturale, soppiantata negli animi degli uomini da quella imperiale. La mente di Mara correva, come un cavallo senza briglie, e solo quando Talesa riprese a parlare la sua attenzione si rivolse di nuovo al presente.

“Sai cosa significa in realtà la visita all’imperatore? Ci hai mai pensato seriamente?”, la ragazza fece una pausa, un invito a riflettere. “Come pensi che saremo accolte? Noi, due recluse dal mondo per nostra volontà, che andiamo a implorare aiuto per un pericolo che adesso è ancora inesistente e remoto… Ci sarà richiesto in qualche modo di provare ciò che affermiamo. Secondo la profezia, una serva del male ci ostacolerà… Sai che alcune voci affermano che Ferano abbia al suo servizio una strega? Come pensi di poterla affrontare?”. Altra pausa intenzionale. “Come pensi di sostenermi contro questi pericoli se hai paura anche di me, di me?

Mara si sentiva impotente: era tutto vero quello che la ragazza le aveva detto.

“Mi rispondi, Mara? Hai paura di me?”, insistettè Talesa.

Le costò molto fare quell’ammissione, ma ciò che Mara rispose fu un flebile ‘sì’.

Talesa la guardò, addolorata. “Mara, questa missione è un mio carico e basta. Non so quale esito avrà, non so se servirà realmente a qualcosa… E’ tutto così indecifrabile! Nonostante le mie visioni, non riesco a capire… Ho tante preoccupazioni contro cui combattere, e non posso averti accanto, non se so che mi temi…”.

Fu Floriana nuovamente a parlare. Quasi fosse una consolazione.

“Non sentirti defraudata di niente, Mara. Io ho voluto nascondermi a te, come a tutte, ho dovuto… Ma è stata molto dura, quando sentivo il vostro pianto e la vostra impotenza rinchiusa in cuori resi duri dall’amarezza. Ma adesso sono tornata, sono tornata in Talesa, e lei adesso è me. Hai paura della tua dea? Non c’è niente da temere, i poteri di Talesa sono enormi, ancor più grandi di quanto io stessa mi aspettassi, ma sono poteri buoni, terribili sì, ma buoni. Potranno salvarci dal male oscuro che si sta avvicinando”.

Mara annuiva, e si beava di ascoltare la voce della sua dea. Ma la voce di Floriana diventava sempre più impercettibile, adesso la scorgeva solo nella sua mente.

“Adesso devo andare, Mara… Il mio tempo è finito, non mi rivedrai mai più. Ricorda, Talesa è me! Ascoltala, ascoltala sempre, in piena fiducia e sicurezza”.

Così concluse sparendo Floriana, e davvero non si manifestò mai più. Il suo era un congedo definitivo, come quello già passato con Galwin.

Talesa chiuse gli occhi per un attimo, poi li riaprì, radiosa.

Mara allungò una mano ad accarezzare il braccio esile della ragazza. “Grazie. E’ stato un dono bellissimo. Adesso sarò per sempre in pace con me stessa. Lo conserverò per sempre nel mio cuore. E, no, in realtà non ho paura di te…”.

Talesa le sorrise, grata. Poi, assunse un’espressione molto seria, i dolci lineamenti trasfigurati dalla preoccupazione.

“Mara… Io non so come dirtelo… Ma… Io non so se tornerò mai un giorno al santuario… E ho visto delle cose… Ho visto Galwin…”, rivolse lo sguardo spaurito verso gli occhi verdi dell’educatrice, infusi di comprensione.

“Ho visto che qualcosa succederà a Galwin, qualcosa di brutto, che ancora non mi è chiaro. Se io e il maestro…”. Sospirò, poi continuò con più determinazione, come se solo in quel momento accettasse per la prima volta, e pienamente, il suo destino, “se non dovessimo sopravvivere a tutto questo, tu saresti l’unica persona in grado di guidare il santuario…”.

Mara stava per ribattere, ma Talesa la interruppe di nuovo, già sapeva cosa avrebbe detto. “Si lo so, sei una donna, ma ricorda cosa ha già detto il maestro in più di un’occasione: è il momento di sovvertire tutte le leggi”.

Le due donne si scambiarono uno sguardo pieno di angoscia.

“Avrei voluto che la Dedicata primaria fosse stata un’altra donna, non tu, non tu mai!”, esclamò Mara con dolore.

“E’ il mio ineluttabile destino, Mara. Non l’ho scelto io… Ma ormai non si può cambiare niente. Farò di tutto per tornare sana e salva”, la voce era sfumata di tenerezza questa volta, “te lo prometto con tutte le mie forze, ma se così non fosse… E proteggerò il maestro per quanto mi sarà possibile. Ma sono certa di una cosa: è fondamentale che tu rimanga qui”.

“Come lo sai?”, domandò l’educatrice, sempre più costernata.

“Che domande… Sempre Floriana”, sorrise la ragazza.

“Mi ha parlato, poco prima che arrivassi nella tua stanza, e mi ha detto che avrai un compito fondamentale in tutta questa storia, e questo compito lo dovrai svolgere da qui, altrimenti il Fato non si compirà”.

“Perché non l’ha detto a me prima?”, il dubbio tormentava ancora la mente di Mara.

“Credimi. Devi avere fiducia in me. Il volere della dea è imprescindibile. Non so perché non te l’ha detto di persona, ma l’ha detto a me, ed è la stessa cosa. E’ l’atto di fede più grande che possiamo chiederti”.

Mara sospirò, poi si riscosse, in qualche modo, dal torpore che l’aveva presa, e volse lo sguardo lungo le pareti della sua stanza. “Beh, tutto sommato, non è un brutto luogo per vivere, questo. Penso che vi rimarrò di buon grado: non sono nata per i fasti di corte…”.

Rise. Di nuovo lieta, di nuovo appagata.

“Hai sempre paura di me, vero?”

“Sei cambiata. Sei sicura, sei forte, sei tremendamente splendida nella tua forza. Ti ricordo fragile e dolce, ma ora non ti vedo più così. E’ paura, questa?”, chiese Mara.

“La cosa ti rattrista”.

“Sì, profondamente. Avrei voluto che rimanessi qui, al sicuro”.

“Pensi che questo posto rimarrà sicuro ancora a lungo?”

L’educatrice abbassò gli occhi. “No, in verità…”.

L’espressione di Talesa cambiò un’altra volta: adesso era di nuovo una bambina indifesa che si confidava con la propria madre.

“Anche io ho paura.  Sai ho paura di me stessa, che strano… E’ una sensazione che non avrei mai immaginato prima. Davvero rimpiango la spensieratezza che provavo solo pochi giorni fa. Ma sento dentro di me tante voci che mi spingono ad agire. Ho bevuto l’acqua della fonte maledetta, Mara, e da allora tutto è cambiato vertiginosamente. A volte mi sento distaccata da me stessa.  E la cosa più brutta è che a volte sento odio crescere dentro di me, laddove vorrei solo amore. Un odio fine a se stesso, senza alcun oggetto.  Esso pesa dentro di me, e spero di poterlo riversare contro tutto il male di questo mondo per poterlo sconfiggere.  Ma prima di allora devo contrastare questo odio dentro di me, e riesco a capire che anche tu a volte lo percepisca e ne abbia terrore. Sono qui per dirti di non accompagnarmi, ma dal profondo del mio cuore desidererei altrimenti, credimi”.

La voce fu rotta dal groppo alla gola che straripò, e Talesa abbracciò disperatamente Mara in cerca di conforto e aiuto.

Continuò a parlare, seppure con la voce rotta dalle lacrime.

“C’è una cosa… L’ho aggredito, ho aggredito il maestro. L’ho costretto a indurmi la trance con la forza. Non ne abbiamo più parlato, ma ho visto il terrore nei suoi occhi. Non volevo fargli del male”, singhiozzò, incapace di andare avanti.

“Non gli hai fatto del male, l’hai spinto a fare una cosa che non avrebbe mai osato fare di sua iniziativa su di te. Ricordati ancora una volta chi sei e cosa rappresenti”. Mara esitò, per cercare le parole giuste.  “Hai agito come sapevi che era giusto…”.

“Bugie, sono bugie per consolarmi, queste!”, sbottò la ragazza, rossa di pianto e indignazione. “E’ come se sentissi salire da me una forte ostilità contro il minimo di contrarietà nei miei confronti… Da quando ho bevuto quell’acqua, è come se il mio solo volere contasse”.

“Forse è proprio così”.

“Alla prima obiezione esplodo di rabbia, Mara. Cosa succederebbe se qualcuno mi ostacolasse con tutte le sue forze? Lo ucciderei?”

Mara scuoteva la testa. “Non faresti male ad un insetto. Fai male solo a te stessa pensando queste cose. Se arrivassi ad uccidere… Sarà solo per la tua incolumità. Non volevo rammentartelo, ma hai già ucciso”.

“Carayel”.

“E non credo che ti abbia fatto soffrire così tanto uccidere una creatura nata dal male… Potresti doverlo fare ancora: e cosa farai, sarai presa da scrupoli di coscienza, soccomberai davanti al male perché non hai reagito?”

“Hai ragione… Devo calmarmi, tutto si sistemerà”.

Stettero minuti interminabili strette nell’abbraccio più importante della loro vita in comune, davvero come madre e figlia. Poi Talesa si scostò delicatamente, e sospirò.

“Posso comunque dirti che, in realtà, preferisco sapere, adesso. Non vivere pensando che sarei sempre stata protetta da queste mura”. Si guardò intorno, come aveva fatto poco prima Mara. “Queste mura non sono il mondo. E il mondo è in pericolo: se devo essere io lo strumento per salvarlo, beh, accetterò di farmi tale”.

Mara si sentì attraversata sa un moto di orgoglio per la sua pupilla.

“Sarò comunque con te, ragazza mia”, la rassicurò.

E, nel gesto che avrebbe avuto importanza fondamentale sull’andamento futuro delle cose, si portò le mani al collo, estraendovi una collana. Sganciò il fermaglio e la sfilò dalla nuca. All’estremità della collana, un ciondolo della dimensione di un guscio di noce, nero come la notte, lucido come seta, inquietante come le tenebre.

“Questo apparteneva a mia madre, l’ho con me dalla nascita. Non la ricordo, mia madre. Ero troppo piccola quando mi strapparono a lei. Ma so che era una maga, molto potente, e mi disse che questa pietra era caduta dal cielo, direttamente dalle Stanze di Uvar. Che mi avrebbe protetto sempre, avrebbe mitigato le mie impulsività per agire con saggezza, che avrebbe protetto le mie emozioni… Io non ho più bisogno della protezione di questa pietra: adesso ne hai bisogno tu. Per tutti noi. Mia madre diceva che certi oggetti, se dati alla persona giusta, possono risvegliare poteri inattesi: che il bene di Uvar li risvegli anche per te”.

La collana passò al collo di Talesa.

Per un attimo la pietra baluginò di luce propria, Talesa rabbrividì e sentì sul suo corpo una nuova presenza. Sentì la pelle bruciare, poi, più nulla. Era come se la pietra l’avesse accettata, non il contrario.

“La conserverò per sempre, e se tornerò, un domani, da te, te la restituirò. Non me ne separerò mai, finche non avrò assolto ciò per cui sono nata”.

Talesa sembrò quasi rimpicciolirsi, sotto il peso delle sue parole, e un’unica lacrima le scese dall’occhio blu.

“Farò di tutto per tornare…”, sussurrò, mentre si alzava stancamente dal bordo del letto.

Si volse un’ultima volta verso Mara.

“Non dire niente a Galwin di questo nostro incontro. Non voglio che si preoccupi ulteriormente. Fingiti malata. Una tua parola autorevole basterà a dissuaderlo dal venire a trovarti. E… Ti voglio bene, te ne vorrò sempre”.

Mara annuì, incapace di risponderle.

Così si congedò la ragazza.

Quella notte dormì serenamente.

 

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